La spondilosi Deformante è una displasia che colpisce vari settori della colonna vertebrale. questa patologia si riflette sulle possibilità sportive del cane e provoca alterazioni della deambulazione nel soggetto anziano anche con importanti algie.
La Spondilosi deformante è un processo infiammatorio cronico degenerativo che coinvolge le articolazioni tra i corpi vertebrali del rachide caratterizzato dalla formazione di vegetazioni ossee (osteofiti) a ridosso degli spazi intervertebrali.
Queste neoformazioni ossee si possono rilevare sia nella porzione toracica, che in quella lombare e lombosacrale della colonna vertebrale.
L’immagine radiologica disegna questi osteofiti come prominenze radiopache (cioè della stessa immagine dell’osso) di differenti dimensioni, che nel tempo tendono ad ingrandirsi assumendo una figura caratteristica detta a “becco di pappagallo”.
Nei casi gravi o in quelli molto avanzati questi ponti ossei tendono ad unirsi tra loro, anche se il più delle volte vi è una semplice “interdigitazione”, cioè una sovrapposizione degli osteofiti stessi soprattutto nei tratti della colonna vertebrale che possiede una maggior mobilità; l’immagine radiologica dà la sensazione della formazione di un solido ponte osseo quando in realtà si ha un’adiacenza dei processi di neoformazione provenienti dal margine dei corpi vertebrali di due vertebre adiacenti.
Gli osteofiti non sono presenti solo nella parte ventrale della colonna, ma possono espandersi intorno a tutto l’anello del corpo vertebrale assumendo più la conformazione di un collare che di uno sperone osseo; questo determina un restringimento dei fori di eminenza dei nervi spinali posti latero-superiormente nello spazio tra i due corpi vertebrali adiacenti.
La causa della degenerazione della colonna è da attribuire ad un tentativo di riparazione dovuto ad un insulto del tessuto articolare continuo e ripetuto, soprattutto in corrispondenza degli ultimi spazi intervertebrali toracici e dei primi lombari, laddove esiste una maggior flessibilità della colonna vertebrale. L’incidenza e le dimensioni degli osteofiti aumentano con l’età, tanto che nei soggetti di età superiore ai 10 anni, vi è quasi sempre la presenza di grosse osteofitosi del tratto lombare e lombosacrale, reperiti casualmente in radiogrammi effettuati in corso di altri accertamenti diagnostici.
Per comprendere la dinamica delle forze che si sviluppano a carico della colonna vertebrale dovremmo richiamare qualche cenno anatomico muscoloscheletrico.
La regione in esame comprende un tratto toracico composto da 13 vertebre, un tratto lombare con 7 vertebre
e un tratto sacrale dato dall’unione di tre vertebre saldate in un’unica struttura chiamato osso sacro.
Le vertebre toraciche sono conformate per assicurare una certa elasticità di movimento; in questo tratto si articolano le coste, importanti per l’espansione della cassa toracica per i movimenti inspiratori ed espiratori. La muscolatura propria è costituita da corpi muscolari distinti che assicurano una buona precisione di movimento sia flessorio, sia estensorio e sia rotatorio.
Al di sopra del corpo vertebrale è presente il foro per il passaggio della struttura nervosa più importante della regione, il midollo spinale, protetto dorsalmente da un arco osseo da cui partono lateralmente i due processi trasversi e superiormente un forte processo spinoso;
su queste strutture ossee s’inseriscono le principali masse muscolari che determinano il profilo di questa regione. Le più importanti sono date:
1) dalla porzione toracica del trapezio, che prende inserzione dalla spina della scapola (ben evidente se passate la mano anteriormente sul torace del vostro cane) e s’inserisce sui processi spinosi delle vertebre toraciche;
2) dal muscolo grande del dorso, che partendo dall’omero s’inserisce più caudalmente rispetto al trapezio toracico sempre sui processi spinosi delle ultime vertebre toraciche.
Le due masse muscolari hanno sia la funzione di sostenere il cinto toracico, sia di flettere, ovviamente in sinergia con altri importanti distretti muscolari, l’arto anteriore determinando la spinta del corpo in avanti.
Le vertebre lombari sono più tozze, con processi trasversi più sviluppati rispetto alle toraciche sia in lunghezza che in larghezza e con un processo spinoso più tozzo e basso (immagine 6). La mobilità di questa regione è nettamente inferiore in quanto vi si alloggiano masse muscolari che hanno più un significato di fulcro delle forze che gravano sulla colonna durante il movimento. La larghezza dell’impianto osseo e la presenza di due forti masse muscolari, alloggiate tra i processi trasversi e il processo spinoso, danno la tipicità di questa delicata regione anatomica del boxer che deve essere forte larga e con un profilo superiore il più possibile piatto, sinonimo di buon sviluppo e di buona funzionalità delle masse muscolari del lungo del dorso e della massa comune.(immagine 7)
Quindi ci si troviamo con una porzione della colonna che ha soprattutto un significato di fulcro delle forze e un’altra porzione dove queste forze devono fare in modo che si scarichino nel terreno provocando lo spostamento e lo sbilanciamento del corpo in avanti.
La porzione della colonna vertebrale dove queste forze si contrappongono è data dalle ultime vertebre toraciche e dalle prime lombari, e quindi questa porzione è senz’altro sottoposta a più stress motorio rispetto agli altri segmenti.
SINTOMI CLINICI
Sono sostanzialmente riconducibili a zoppia, più accentuata al trotto che al passo, che compare solitamente in maniera saltuaria tra il 4° ed il 6° mese di età. L’ animale tende a sottrarre l’ arto colpito al carico (zoppia da appoggio) e spesso si può notare una lieve deviazione laterale dell’ arto colpito con online casinoappoggio a dita divaricate. Il dolore alla palpazione può essere evocato nel distretto laterale ( UAP ) o mediale (FCP – OCD) del gomito interessato e può essere osservata una ectasia dei fondi ciechi sinoviali con atrofia più o meno marcata dei muscoli dell’ avambraccio a seconda della gravità della situazione e del tempo trascorso dall’ insorgenza della patologia.
Il quadro clinico diventa più evidente con il progredire della malattia e con la comparsa dei fenomeni artrosici secondari (DJD).
CLASSIFICAZIONE SPONDILOSI DEFORMANTE
ASPETTI GENETICI
Paolo Carnier (1), Luigi Gallo (1), Lucia Menegazzo (1), Paolo Piccinini (2)
(1) Dipartimento di Scienze Animali
Università degli Studi di Padova
Agripolis, viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD)
E-mail paolo.carnier@unipd.ita
(2) Centrale di Lettura delle Malattie Scheletriche Corso Isonzo 99/A, 44100 Ferrara
Obiettivo di questo breve articolo è l’illustrazione del significato, caratteristiche, aspetti metodologici e utilizzo degli indici genetici nell’attività di selezione e di miglioramento genetico del cane di razza pura in relazione ad alcune patologie a base ereditaria. Nell’ambito delle popolazioni canine, oltre alla ricerca della rispondenza dei soggetti a specifici requisiti morfologici, comportamentali ed attitudinali, si osserva una sempre più crescente attenzione, da parte di allevatori, proprietari e veterinari, al benessere ed alla salute del cane.
Caratteri polifattoriali
Molte delle caratteristiche di un cane rientrano nell’ambito dei caratteri quantitativi, noti anche con i nomi di caratteri polifattoriali, complessi o poligenici. La peculiarità di questi caratteri risiede nel loro determinismo fenotipico in cui intervengono sia effetti genetici, esercitati da un numero elevato di geni (complesso poligenico), che effetti non genetici, comunemente indicati con il nome di effetti ambientali, i primi in concorso con i secondi. Allo stato attuale delle conoscenze e malgrado i progressi ottenuti nell’ambito della biologia molecolare e della genomica, i geni responsabili della manifestazione fenotipica individuale di tali caratteri, il loro effetto specifico, il loro numero e la loro localizzazione a livello del genoma animale sono sconosciuti.
Alcune patologie ad accertata base ereditaria del cane, quali la displasia dell’anca e la spondilosi deformante, rientrano nell’ambito di questa tipologia di caratteri (Carnier et al., 2004; Sturaro et al., 2005). Quanto descritto in precedenza permette la facile comprensione del perché la selezione dei candidati riproduttori basata sulla semplice comparazione del loro fenotipo per queste patologie, vale a dire in funzione dei risultati del mero esame radiologico, costituisce un approccio poco efficiente alla lotta contro queste malattie scheletriche.
E’ inoltre opportuno ricordare che l’efficacia della selezione basata sul dato fenotipico individuale, in altre parole la sua capacità di ridurre l’incidenza e la gravità di queste patologie in una popolazione canina, è in funzione del grado di ereditabilità del carattere quantitativo.
Gli indici genetici
Esiste tuttavia la possibilità, anche per le patologie scheletriche precedentemente ricordate, di utilizzare degli strumenti selettivi molto più efficienti: i valori genetici stimati, noti anche con il nome improprio di indici genetici. Tali strumenti vengono utilizzati di routine nei processi selettivi che interessano le principali popolazioni di animali da reddito e dal loro utilizzo dipende, in larga parte, il successo conseguito negli ultimi venti anni in relazione al miglioramento delle performance produttive di questi animali. Non è obbiettivo di questa breve trattazione illustrare gli aspetti metodologici relativi alla stima del valore genetico di un animale per un carattere quantitativo, ma solo quello di fornire alcuni concetti essenziali per la comprensione di tali strumenti e del perché, di fatto, costituiscono la base di un piano di lotta, valido e tecnicamente efficace, contro le patologie scheletriche a base ereditaria.
Il valore genetico stimato o indice genetico di un animale è un valore numerico relativo che consente di comparare il merito genetico di un dato soggetto con quello di altri individui.
L’indice genetico quantifica il valore del complesso poligenico di un animale in relazione a un determinato carattere. L’indice genetico di un individuo può essere anche definito come a) il valore genetico medio atteso della progenie cui l’animale darà origine oppure b) l’effetto che l’animale avrà sul fenotipo medio della sua progenie in seguito alla trasmissione dei propri alleli. E’ quindi possibile, se si dispone di indici genetici stimati, prevedere il fenotipo medio della progenie originata dall’ipotetico accoppiamento di due riproduttori. Di conseguenza, gli indici genetici, oltre a essere utilizzati quale criterio selettivo, sono anche uno strumento per la programmazione degli accoppiamenti. Consideriamo il seguente esempio: ipotizziamo che un allevatore abbia a disposizione un maschio con indice genetico per la displasia dell’anca sfavorevole, ma sia comunque interessato a utilizzarlo come riproduttore per altre caratteristiche favorevoli. La disponibilità degli indici genetici consente all’allevatore di ricercare delle femmine per l’accoppiamento, con indice genetico favorevole per la displasia, in grado di compensare il deficit genetico del maschio.
Gli indici genetici vengono espressi, in unità di misura del carattere quantitativo a cui si riferiscono o in unità di deviazione standard genetica, come deviazione positiva o negativa rispetto all’indice genetico medio di tutti gli individui valutati, che rappresenta la base genetica della valutazione.
La stima degli indici genetici
Al fine di facilitare la comprensione di questo strumento, è opportuno descrivere, anche se sinteticamente, il processo che porta alla stima di un indice genetico. Le informazioni disponibili per la stima di un indice genetico sono rappresentate da misurazioni fenotipiche del carattere quantitativo effettuate sull’animale e su soggetti parenti, dai rapporti di parentela intercorrenti tra gli animali con misurazione fenotipica disponibile e il soggetto di cui si vuol stimare l’indice genetico e il grado di ereditabilità del carattere che deve essere noto. Tutte queste informazioni sono sottoposte a elaborazione utilizzando una specifica metodologia statistica (BLUP Animal Model) che:
1. corregge il dato fenotipico di ogni individuo per l’effetto esercitato da una serie di fattori ambientali (esempio: se alcuni cani vengono sottoposti a controllo radiografico per la displasia a due anni di età e l’età media cui la radiografia per la displasia viene di norma effettuata è di un anno, il punteggio medio del grado di displasia di questi soggetti, vista la natura progressiva della patologia, sarà tendenzialmente più elevato (peggiore) di quello attribuito ad animali sottoposti a screening radiologico all’età di un anno. La procedura aggiusta il dato fenotipico dei cani controllati a due anni, riducendo il punteggio del grado di displasia di questi soggetti di una quantità pari alla differenza tra il punteggio medio del gruppo di cani radiografati a due anni e quello dei soggetti sottoposti a screening a un anno di età);
2. pondera il dato fenotipico corretto, ottenuto al punto 1, per il grado di ereditabilità del carattere (l’informazione fenotipica viene pesata in funzione dell’importanza relativa che gli effetti genetici hanno, rispetto a quelli non genetici, nel determinismo del fenotipo di un cane);
3. il dato fenotipico corretto e ponderato per il grado di ereditabilità, ottenuto al punto 2, viene ulteriormente ponderato per il rapporto di parentela intercorrente tra l’animale cui il dato fenotipico appartiene e il cane di cui viene stimato l’indice genetico (in questo modo, per la stima dell’indice genetico di uno specifico soggetto, vengono utilizzate, in modo corretto, tutte le valutazioni fenotipiche del grado di displasia di cani parenti del soggetto. A ogni dato fenotipico viene attribuita la giusta importanza, che dipende dal legame, cioè il rapporto di parentela, che esiste tra gli aspetti genetici del soggetto di cui si sta stimando l’indice e quelli dell’animale cui il dato fenotipico appartiene).
La procedura descritta fornisce anche una misura di precisione di un indice genetico, che dipende da diversi elementi, di cui il più importante è la quantità di informazioni fenotipiche disponibili per la stima dell’indice di un cane. Questa misura prende il nome di accuratezza dell’indice e rappresenta il grado di correlazione tra l’indice genetico e il vero valore genetico, ignoto, del cane. L’accuratezza dell’indice varia da zero (accuratezza nulla: non esiste alcuna correlazione tra l’indice – la stima del valore genetico del cane – e il vero valore genetico dell’animale) a 1 (accuratezza massima: l’indice di fatto coincide con il vero valore genetico del cane).
L’accuratezza aumenta all’aumentare del numero di informazioni fenotipiche disponibili per la stima dell’indice genetico: ad esempio, l’accuratezza dell’indice genetico stimato utilizzando il dato fenotipico del soggetto, quello di due mezzi fratelli e quello del padre e della madre è minore dell’accuratezza ottenibile quando a queste informazioni fenotipiche si aggiungono anche quelle di qualche figlio o altri collaterali del cane.
Bibliografia
Carnier P., Gallo L., Sturaro E., Piccinini P., Bittante G. 2004.
Prevalence of spondylosis deformans and estimates of genetics parameters for the degree of osteophytes development in Italian Boxer dogs.
Journal of Animal Science. 82: 85-92
Sturaro E., Menegazzo L., Piccinini P., Bittante G., Carnier P., Gallo L. 2005.
Prevalence and genetic parameters for hip dysplasia in Italian populations of purebred dogs. Italian Journal of Animal Science. Sottomesso per la pubblicazione.
Fonte: Ce.Le.Ma.Sche